La chiesa parrocchiale di Voltido
Nel territorio voltidense, sorge una antichissima chiesa di incerte origini che ne segue le sorti: si tratta della Chiesa Parrocchiale di San Michele Arcangelo, probabilmente elevata già nel X sec., durante la presenza benedettina sulle terre di Voltido. In tempi più recenti la proprietà della Chiese non segui le sorti del contado e del vicus voltidense, poiché, dopo un periodo di dipendenza, tra il XIV e il XV sec., dalla Pieve di San Maria di Piadena, la Chiesa di Voltido passò di pertinenza ai Canonici Regolari Lateranensi di Cremona, la cui sede era posta nel Monastero annesso alla Chiesa Prepositurale di San Pietro al Po, seconda sede vescovile della città. Allorquando l'imperatore d'Austria Giuseppe II soppresse nel 1732 alcuni ordini monastici, tra cui i Lateranensi, San Pietro passò ai Carmelitani ed, in seguito, ai Barnabiti cui rimase dal 1789 al 1798. I possedimenti di pertinenza del Monastero, perciò, si disgregarono e la Chiesa di San Michele Arcangelo in Voltido, con la canonica risalente allo stesso XVIII sec. e la cappella annessa, già sede della Confraternita del Santo Rosario e del Santissimo Sacramento, cambiarono ancora una volta di mano, per finire nel patrimonio terriero dell'Opera Pia dell'Ospedale Maggiore di Cremona. La Chiesa è ormai orbata dei terreni della prebenda, la cui vendita contribuì alla costruzione del nuovo nosocomio.
Pur essendo affidata come Chiesa Parrocchiale di pertinenza della Diocesi di Cremona, infatti, la Chiesa di Voltido è stata giuridicamente fino a 10 anni fa, di proprietà di una istituzione sanitaria nazionale che non ne assunse gli oneri di mantenimento.
La Chiesa si innalza dalla piazzetta antistante con una facciata strutturata a doppio corpo, scandita da lesene piatte con capitelli compositi a foglia e timpano centrale triangolare, al cui centro è posto un fregio ornamentale in forma di sole raggiato. Ai lati del marcapiano da cui prende slancio una bifora sormontata da un archetto in rilievo a piencentro con tondo decorativo piatto, al sommo delle semivolute laterali si elevano due decori a forma di pigna, sovrastanti la semilesena terminale. Il portale d'ingresso è sormontato da un fregio raffigurante simboli cristiani e la scrittura dedicatoria. La facciata risale ad un periodo compreso tra l'ultimo quarto del XVIII sec. e il successivo, con probabili decori aggiunti tra la fine del XIX e il XX sec.
La Chiesa presenta una pianta a croce latina, con navata centrale ai cui lati si aprono le cappelle maggiori dedicate rispettivamente al SSan Sacramento e alla Vergine Immacolata. Il braccio longitudinale, scandito da cappelle con scarsa profondità con altari in numero di 4 per lato. Tali altari sono ornati da statue lignee policrome di epoca diversa collocabili, tuttavia, tra la fine del XVIII e il XIX sec., gravate da ridipinture non sempre felici ma in uno stato di conservazione complessivamente buono.
La statua di San Michele Arcangelo, che orna l'altare maggiore, risale al XVIII sec. ed è pregevole manufatto in legno dipinto che appare assimilabile all'omonima del Bertesi conservata presso il Museo Civico e a quella, di analogo soggetto, tuttora presente a lato dell'altare maggiore nella chiesa di San Michele Vetere a Cremona.
La porzione absidale presenta un andamento semicircolare sormontato da una cupola semisferica che trova raccordo in una ampia fascia sovrastante la chiave di volta raccordata all'ampia cornice all'altezza delle due semicolonne a fronte piatto sormontate da capiteli ionici. Il punto di giunzione tra i bracci del transetto e l'asse lungo è sormontato e sottolineato da una cupola che raccoglie nelle due vele laterali, gli arconi delle cappelle, immettendo alla successiva fuga di arcate che scandiscono lo spazio intercorrente tra il transetto e la facciata. Ogni arcata raccoglie e raccorda una unghiatura a vela triangolare nella quale è posta la finestra a lunetta semicircolare.
L'intero manto murario presenta una decorazione a fresco a soggetto floreale, di chiara derivazione dal gusto "floreale" tardo ottocentesco, resa più lieve da una sorta di grazia agrestre. Tale decoro è interrotto soltanto dalla volta della navata centrale, che è occupata dalla raffigurazione del Santo Patrono, San Michele Arcangelo, opera di Antonio Rizzi, rinomatissimo artista cremonese, cui si deve la decorazione del Vittoriano di Roma, docente di Belle Arti a Perugia, attivo a Firenze, oltre che in altre località d'Italia e all'estero, la cui vita iniziata a Cremona nel 1869 vi si concluse nel 1940. La decorazione floreale, che percorre anche i pennacchi del catino absidale, è opera, eseguita tra il 1903 e il 1904, di Ferruccìo Rossi, essa fa da luminosa cornice ai toni, più accesi e corruschi, del lavoro del Rizzi, di notevole impegno nell'ampio panneggio e nella composizione figurale. La composizione della decorazione che incornicia l'intero spazio interno presenta delicatezza di cromie, leggiadria compositiva dei nastri delle corone, dei cespi di fiori, in un gustoso e raro, se non unico, assemblaggio botanico raccordato da nastri.
Le pitture, sempre a fresco, che occupano le volte minori si devono ai professori Scotti e Zucchi: in esse sono raffigurati i simboli delle virtù teologali e cardinali secondo la più accreditata iconografia, bellamente dipinti e collocati assai convenientemente. In particolare le figure recanti in mano alcuni simboli si pongono entro cornici auree a delimitare un cielo di superiore limpidezza sulle cui nubi appaiono posate.
Il raccordo decorativo tra uno spazio e il successivo offre una ricca messe di finti decori, comici, racemi, ghirlande a trompe l'oeil: esse, infatti, fingono a fresco, la presenza di stucchi di gusto rocaille e di modanature settecentesche, mostrando notevole perizia di esecuzione e leggiadria di chiaroscuro.
Tra i decori della Chiesa Parrocchiale trovano posto, accanto alle statue lignee più recenti di soggetto e gusto corrente, due opere lignee di autore ignoto assai pregevoli sia per grazia esecutiva sia per rarità dì soggetto, che per antichità di fattura.
La prima statua lignea è una Madonna in trono con il Bambino posato sulle ginocchia. La Madre contempla il Figlio con il capo lievemente chino e con volte dolce e mesto, il Pargolo è posato sulle sue ginocchia, supino, in una postura leggermente torta (è una posizione del tutto inconsueta in questo tipo di raffigurazioni del Bambino Gesù, essendo usata per solito, nelle Pietà). Il Figlio è steso davanti alla Madre ignudo e con un sembiante assai particolare, posto tra il riso e il pianto. La Vergine reca una veste rossa, un manto d'oro con fodera blu, il trono su cui siede è sopraelevato su un gradino a base poligonale, sovrapposto a un basamento in finto marmo. L'insieme richiama ad un mondo cortese ma anche ad un periodo ascrivibile al sec. XV, o poco oltre. Le accentuazioni fisiognomiche, come pure la particolare postura della Madonna, l'abbigliamento aulico sembrano poter declinare l'opera ad un'area di appartenenza centro settentrionale, nella quale sono già intercorse le esperienze costruttive classiche. La fisionomia dell'Infante, la sua collocazione supina anziché eretta o seduta rendono questa manifattura assai insolita, mentre l'assetto del trono e la posizione della Madre sono riscontrabili in area assai vasta, anche iberica. È presente una forte ridipintura di epoca relativamente recente ma lo stato di conservazione risulta complessivamente buono.
Il secondo manufatto ligneo raffigura Maria e Giovanni: le due figure sono in posizione orante, attualmente sono poste su un basamento che è di epoca posteriore, probabilmente costruito per motivi di statica. La figura femminile è identificabile per la Madonna a causa dell'acconciatura a soggolo, tipica delle donne mature e delle vedove, secondo il costume in uso nel XIVIXV sec., mentre quella maschile mostra un giovane uomo che reca una borsa alla cintura e porta i capelli alla paggio, anche questo conferma il periodo a cui attribuire l'opera. Le due statue lignee, per la posizione di leggera curvatura e di rapporto· intercorrente tra i movimenti di mani e occhi, sembrano essere residui di un gruppo più ampio, probabilmente un Compianto.
Il taglio rigido, i panneggi di una certa schematicità ne denunciano l'appartenenza ad un contesto borghese ma di devozione popolare. La finitura dei volti mostra delicatezza ma risulta poco individualizzata, anche se resta una certa eleganza di fondo denotante prototipi cortesi. Si può azzardare un'ascrizione ad un'area nordica, poiché vi affiorano modalità francesizzanti, come pure non è da escludere una realizzazione locale, o almeno di ambito lombardo o milanese, poiché sul territorio sono presenti gruppi di consimile fattura in plastica fittile, in cui le figure si pongono a corona del corpo del Cristo deposto dalla Croce nel lamento della sua morte, il Compianto, appunto.
Nella Chiesa Parrocchiale di Voltido è presente una pala d'altare raffigurante il Battesimo di Gesù nel fiume Giordano ad opera di San Giovanni Battista. La tela presenta alcune cadute di colore, benché lo stato conservativo non sia allarmante. L'opera risulta anonima ma appartiene certamente ad un ambito locale, cremonese o, al massimo emiliano. Gli ampi panneggi delle vesti, la grazia levigata dei volti, la chiarità tonale che investe tutte le cromie sembrerebbero rapportare la tela alla pittura mantovana -emiliana ed ad un periodo posto tra il XVII e il XVIII sec .. Tuttavia il paesaggio dello sfondo che richiama le terre cremonesi lungo il fiume, nonché le forme aguzze dei volti e la delicatezza quasi femminea, nonché la scelta cromatica che verte su toni acidi sembrano avocare il dipinto alla scuola cremonese successiva al minore dei Gatti e al Chiaveghino. Le figure appaiono delicate ed alquanto deboli nella costruzione, che non sempre risulta convincente nelle proporzioni prospettiche; tuttavia dall'opera spira una cert'aria di elegante riformismo che l'accosta, appunto, alla locale schiera di artisti della Controriforma. L'opera è inserita in una elegante cornice dorata con baccellature.
Una seconda tela raffigura una "Sacra Conversazione" su uno sfondo di un paesaggio collinare. La Madonna tiene in grembo il Bambino ed è intenta al colloquio con il Figlio di cui tiene nella propria una mano nell'atto di porgerla alla Santa, identificabile in San Barbara o San Caterina d'Alessandria. Tra il gruppo e la Santa è posta una spada di cui si scorge l'elsa e parte della lama. La Santa presenta un volto assai bello, con tratti fini, anche il Bimbo è assai aggraziato ed espressivo; ciò fa pensare, benché si tratti di un'opera anonima, di essere di fronte ad un pittore di buona mano anche per l'elegante costruzione del gruppo e l'equilibrio con lo sfondo. Le cromie forti, l'impianto costruttivo a quinta scenica e la tipologia tradizionale all'ambito lombardo veneto, rende proponibile una datazione al XVI/XVII sec. ed una collocazione in ambito padano. Anche quest'opera appare degna di considerazione, presentandosi in uno stato conservativo alquanto buono.
Nella Chiesa Parrocchiale di Voltido figurano inoltre, una pregevole tela attribuita a Francesco Boccaccino (Cremona 166-1711), raffigurante la "Sacra Famiglia", opera elegante e di grande vivezza, rilevante soprattutto la figura del Bambino Gesù in cui risalta la grazia fanciullesca del volto e la vivacità del gesto, nelle figure parentali si evidenzia il classicismo romano come pure, nella testa di San Giuseppe il taglio bassanesco che rimanda all'area veneta cui il Boccaccino fu legato. L'opera, di notevole dimensione, appare leggermente evelata.
Di ancor maggiore interesse artistico risulta la tela raffigurante "Sant’Anna con la Vergine bambina", in cui mi pare possibile rilevare due ritratti davvero pregevoli. La dolcezza assorta dell'espressione, la finezza del tratto fanno della Madre di Maria una originale versione della ritrattistica veneta del Settecento; anche la Fanciullina ha espressione ed acconciatura che rimandano ad una situazione ben definita, il che conforta nell'attribuire allo stesso Francesco Boccacino la paternità di questa raffinata pittura recante una sorta di natura morta tra le mani dell'Angelo di destra.
Al sec. XVIII è invece, da attribuirsi la grande "Assunzione della Vergine con Santi", opera di Bernardino Dehò, noto pittore di 'capricci' e allievo del Massarotti (1675) già in passato ampiamente restaurata. Nobilmente composta su due piani, l'opera contempla la Vergine sostenuta da Angeli e Cherubini mentre ascende al cielo sopra le figure di quattro Santi, identificabili, in Sant’Antonio, San Domenico, San Rocco e San Gerolamo. Il taglio dell'immagine, la precisione di costruzione prospettiva dal basso all'alto, la ricchezza di individuazione delle figure, i panneggi assai ben risolti e la sobria ma preziosa cromia che caratterizza il quadro suggellano per quest'opera una paternità rilevante nell'ambito della pittura cremonese successiva o contemporanea all'episcopato dello Sfondrati, con vicinanze al Trotti, al secondo Gatti o al Chiaveghino. La tela reca lo stemma della Famiglia Picenardi e la data 1711, coerentemente con l'attività del Dehò nella zona.
Tra i beni artistici di pertinenza della Chiesa di San Michele Arcangelo figura anche una tela di gusto popolare non esente da durezze e grossolanità pittoriche, ma certamente interessante per la commistione di questo aspetto con una ricercatezza elegantemente neo classica della figura dell'Angelo che scende a confortare le anime dei peccatori strappandoli alle fiamme infernali. Databile ad un periodo compreso entro i primi due decenni dell'Ottocento, rimanda alla decorazione di porcellane nella raffigurazione della Vittoria alata (generalmente riferita a Napoleone I) qui trasformata in messaggero celeste.
Sempre al sec. XIX sembra appartenere la Via Crucis di mano anonima, con cadenze popolari e con assetto che sembra rimandare a qualche prototipo a stampa; le scene, pur vivaci, non sono ben equilibrate nelle loro componenti, talvolta con improbabili forzature e sproporzioni prospettiche.
Due opere appartengono, invece, al XX secolo, si tratta di due quadri di Illemo Camelli, il noto sacerdote cremonese, attivo fra la fine dell'Ottocento e la prima metà del Novecento, per lunghi anni responsabile delle raccolte del Civico Museo oltre che pittore per passione. Uno dei due quadri raffigura in schietto stile divisionista un San Francesco "con la prima rondine", il secondo rappresenta invece San Teresa di Lisieux, entrambi di delicata tavolozza, firmati e datati, il San Francesco 1938 e la Santa Teresa 1933; i due dipinti sono eseguiti ad olio.